Il sentiero 736A è quello del Triaur, parte da Masseris, da dietro la casa più alta, sale nel bosco. Non è subito evidente, salgo una rampa in mezzo alle case nel silenzio ovattato dell’umidità della mattina presto, se ci fosse il sereno ci sarebbe proprio una bella vista sulle Valli del Natisone
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Da dietro la casa, si innalza i sentiero, il vecchio tracciato che sale sul monte, un bel bosco di carpino che pian piano lascia il posto agli abeti e ai faggi.
Tra affioramenti rocciosi tipici, che caratterizzano il carsismo del Mataiur e muretti a secco coperti di muschio risalgo in solitudine questo primo tratto che porta a Casera Tamorsca, silenzio, solo i miei passi, solo il rumore dei rametti che si spezzano e delle foglie d’autunno. E’ un silenzio che fa rumore, il bosco del Mataiur sa di fantasia, per terra alcune impronte che vanno in discesa. Non ho visto nessuno scendere, forse solo le impronte della Krivapeta, quella cha abita nel bosco delle Valli.
Però qualche traccia di animale c’è, saranno volpi, o caprioli, o cinghiali, le foglie umide dove vengono mosse lasciano intuire il passaggio. D’altronde se c’è il bosco ci sono anche gli animali e viceversa. Cerco di non fare rumore, salgo silenzioso per non disturbare, per non interrompere questo legame. Salgo questo sentiero antico, immerso nel bosco di nebbia e faggi spogliati dal vento.
Nel prato di Casera Tamorsca faccio una breve sosta, supero la forestale proveniente da Cepletischis, la incrocio di nuovo più in su, la seguo per un centinaio di metri poi, invece di proseguire verso la misteriosa Val Polaga, mi infilo di nuovo nel bosco, su per il sentiero che gioca a nascondersi tra le rocce e gli alberi per poi uscire allo scoperto, tornare a nascondersi sfruttando la nebbia, tornare a mostrarsi per un tratto. E’ un bel procedere, un gioco alla scoperta della montagna, che oggi fa fatica a mostrarsi, nascosta dalle nuvole.
Sono nuvole basse, si vede un po’ di luce, forse in cima il Mataiur mi regalerà una sorpresa. Il Mataiur mi regala sempre qualcosa…..
Esco sulla strada di Rommel, la seguo oltre casera Glava, parte da Livek e arriva fin sotto la cima. Qui il bosco tace, parlano le pietre, raccontano la storia, la guerra, quel 1917, la disfatta di Caporetto…
Massicciate e cordoli ancora ben visibili e conservati che percorro in fretta. Oltre il profondo canale di fonte Skrila, oltre gli affioramenti rocciosi della palestra un sentiero porta al rifugio Pelizzo, si vede, spuntare dalla nebbia. Anche il sole spunta, a tratti si vede la cima, sento delle voci, sulla via normale che sale dal Pelizzo non vedo nessuno, anzi no, adesso vedo una persona sola salire….
Le nuvole girano, si spostano, sembrano tagliare a metà la montagna,prima in orizzontale, poi un attimo dopo in verticale, lungo la linea della dorsale dove salgo lungo il 736.
Doveva essere sul Crostis, ma sapeva che io sarei venuto qui, partendo da Masseris, e allora lui l’ha fatta più corta, è salito dal rifugio Pelizzo e mi sta venendo incontro dalla cima. Una bella sorpresa, spunta dalla nebbia, prima la barba, poi i baffi, poi il sorriso di Flavio. Eccoci qui, di nuovo assieme, a firmare un altro libro di vetta, a stringerci la mano, a sorridere.
Lo sapevo, il Mataiur non mi tradisce mai, ogni volta è una sorpresa e non finisce qui, basta saper aspettare. Le nuvole spinte dall’euforia del vento cominciano a correre, si alzano, si abbassano, si chiudono e poi improvvisamente si aprono, proprio dove siamo noi, a 1641 mt, sulla cima del Mataiur. Pochi istanti, pochi attimi, dobbiamo salire sull’obelisco, metterci in punta dei piedi, più di così non si può, ma basta a far spuntare sopra le nuvole il Canin, il Rombon e poi il Monte Nero con la catena del Vrata.
Grazie ancora Mataiur, ci hai aspettato, hai voluto che fossimo in cima entrambi, per farci il tuo regalo. Adesso possiamo di nuovo stringerci la mano, salutarci e scendere, io verso Masseris, Flavio verso il Pelizzo.
Scendo lungo il pendio, le nuvole giocano un po’ con la chiesetta del Redentore, poi tutto si fa di nuovo grigio, per regalarmi anche in discesa la magia del bosco.
Le ho lette da qualche parte su un vecchio articolo sul Mataiur, a Masseris nella mia mente risuonano queste parole : “ Come è bello qui”.
Caro Luca la bellezza d un'escursione dipende da tante cose. Talvolta la solitudine della salita, l'incontro imprevisto, giocare a rimpiattino con le nuvole e le cime costituiscono questa bellezza. Comunque dipende sempre da noi avere gli occhi e il cuore per vederla.Un versante del Matajur che potremmo rifare nel periodo delle fioriture con le nostre Marise... ;) ciao
RispondiEliminaOriginally posted by frivoloamilano:Caro Luca la bellezza d un'escursione dipende da tante cose. Talvolta la solitudine della salita, l'incontro imprevisto, giocare a rimpiattino con le nuvole e le cime costituiscono questa bellezza. Comunque dipende sempre da noi avere gli occhi e il cuore per vederla.Un versante del Matajur che potremmo rifare nel periodo delle fioriture con le nostre Marise... ;) ciao
RispondiEliminaCiao Flavio
hai ragione, occhi e cuore .... e torni a casa sempre contento! e a primavera ci aggiungiamo anche i fiori :) !
giovanni writes:e la prossima volta il scagnut... ;)
RispondiEliminaOriginally posted by anonymous:Unregistered user # Sunday, December 2, 2012 10:21:47 PMgiovanni writes:e la prossima volta il scagnut... ;)la scala mussa era un pò troppo, ma il scagnut si può fare :D !
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